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Journal metodologia 28 Marzo 2017

Da zero a cantastorie: introduzione allo storytelling

Writen by admin@xchannel

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Lo storytelling, cioè l’arte di narrare con il fine di promuovere prodotti e posizionare brand, non è certo una disciplina appena nata. Ha, anzi, radici profonde, che affondano quanto meno nella retorica greca.

Solo un esempio. Aristotele definisce la retorica come facoltà di trovare ciò che è capace di essere persuasivo in merito a qualsivoglia argomento (Retorica, Libro Primo, Capitolo Secondo, 1355b). Ed aggiunge che l’oggetto della retorica non è la verità, ma il verosimile. Ricorda nulla?

Di questo passo andiamo però a scoperchiare un argomento troppo vasto e complesso.

Quindi abbiamo deciso di cercare con Luca Visconti delle risposte tanto pragmatiche quanto accademiche. Milanese, professore di marketing in Bocconi dal ’99 al 2011, Visconti occupa da 6 anni la cattedra di marketing e luxury Management della più antica business school del mondo: ESCP Europe, a Parigi.

L’argomento è molto ampio: proviamo ad introdurlo delimitandone il campo?

Non solo l’argomento è ampio. Ma il digitale, aggiungendo alla complessità ulteriore confusione, ha portato a parlare in maniera indistinta di brand content e brand stories. Iniziamo a fare un distinguo qui, allora, perché non sono affatto la stessa cosa, il contenuto di marca e le storie di brand, essendo il primo com’è ovvio un campo molto più ampio.

Inoltre, le brand stories possono a loro volta essere descritte secondo due approcci di partenza alternativi. Nel primo approccio la marca è al centro, come soggetto parlante della storia; nel secondo, invece, la marca paga / finanzia una storia, come una specie di mecenate – una storia che appunto viene narrata da qualcun’altro.

Un esempio del primo approccio sono le campagne di M&Ms.

Un esempio del secondo sono invece quelle di Prada.

E perché sempre più aziende chiedono e scelgono lo storytelling come strategia?

Ci sono due motivi principali, che portano a due strategie distinte. Il primo è quello della aziende che scelgono lo storytelling per accodarsi ad un trend consolidato e popolare, per un fenomeno simile a quanto accaduto 10 anni fa con il boom degli eventi di marca.

Un secondo gruppo di aziende usa invece lo storytelling in una logica più complessa e duratura. Per loro il contratto che sta alla base di tutti i rapporti con i clienti viene sempre prima, ma è astratto; ecco che allora, per renderlo più comprensibile ed intellegibile, lo esplicitano in una storia (es. CHANEL).

Ma lo storytelling non c’è sempre stato?

Sì, ma oggi è sempre più presente. Per diversi motivi. Facciamo un esempio. L’audience di un eShop di una PMI è sempre più globale. Però, quasi tutte le forme di pubblicità (es. i visuals) hanno bisogno di un adattamento, sia grafico che culturale, a società diverse e paesi distinti. Ma questo non accade per la storia, che è un universale antropologico, transculturale e trans-istorico (ciò a cui tende il racconto, per usare appunto una definizione di Roland Barthes, è trans-istorico: è dotato cioè di una stabilità universale che porta all’idea di una lingua generale del racconto). Le storytelling, quindi, è uno strumento che ha la capacità di attivare un pubblico globale.

Le storie di marca, inoltre, sono anche una leva di marketing non suscettibile di imitazione. Qualsiasi strategia di prodotto / di marca che abbia successo in un mercato competitivo, può essere infatti imitata. Tranne una storia di marca. Per capirci, un esempio lampante: se si prova a cambiare un dettaglio sia pur all’apparenza insignificante di una favola, mentre la si racconta ad un bimbo, accade subito che quest’ultimo se ne accorga e – rottosi l’incantesimo della narrazione – chieda di raccontare la vera storia, quella autentica.

Questa esplosione del metodo, però, dipende anche da motivi legati alle dinamiche di comunicazione.

Sì, è così. Innanzitutto, infatti, è cambiato il modo di gestire il media spend. E, poi, sono cambiati i contenuti. Sempre più spending passa attraverso il digitale, da un lato, e, dall’altro, il digitale ha permesso al pubblico di avvalersi di strumenti sempre più semplici ed efficaci per filtrare la comunicazione commerciale.

Ci sono quindi motivazioni legate alle dinamiche di comunicazione, sia lato azienda (lato investimenti in advertising digitale, appunto) che lato consumatore (l’attivatore dei meccanismi di filtro di cui sopra). Di qui, anche, la ricerca di contenuti che coinvolgano al meglio l’utente, facendo leva sulla formazione al prodotto ed al brand (es. edutainment) oppure su aspetti di engagement puro.

Nuove dinamiche di comunicazione, quindi, ma anche nuovi strumenti di marketing – giusto?

È esatto. Perché il marketing, dalla sua fondazione, è mosso dalla ricerca di persuasione d’un pubblico. Fino a ieri, però, hanno prevalso gli strumenti di persuasione analitica: fatti, caratteristiche, benefici, numeri di un prodotto e di marca. Ma oggi i marketers hanno capito che con la persuasione narrativa si producono effetti più duraturi.