Martina Casani è autrice con Marcello Majonchi di Come usare al meglio l’Internet delle Cose – Guida IoT per manager e imprenditori (Tecniche Nuove, gennaio 2017). La persona giusta per rispondere, con un coinvolgente approccio tecnico-narrativo ma anche nella maniera pragmatica di chi l’esperienza l’ha maturata sul campo, alla domanda su come questo sviluppo di internet rappresenti un’opportunità di business.
L’Internet delle Cose (o IoT, Internet of Things) è, infatti, un’evoluzione della rete: le “cose” si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stesse e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri.
Per farlo, cioè per comunicare tra loro, gli oggetti sono muniti – ad esempio – di etichette di Identificazione a radio frequenza (Rfid) o Codici QR, che comunicano a loro volta informazioni in rete e/o a dispositivi mobili (smartphone, tablet, wearable devices).
E così, per esempio, si possono avere delle razionalizzazioni importanti in fatto di costi: dal 30% all’80%, secondo le case history del libro. Ma, anche, si producono opportunità in termini di vantaggio competitivo – ed in ultima istanza di fatturati incrementali.
Laurea con lode in Economia alla Luiss di Roma, un MBA all’Imperial College di Londra, Martina Casani ha un profilo da business woman prestata alla tecnologia. Dopo i primi passi mossi in consulenza, negli ultimi otto anni ha lavorato per aziende del tech, con l’obiettivo numero uno di tradurre la tecnologia in un linguaggio comprensibile e fruibile per i manager delle aziende clienti.
Il tutto con un piglio tanto umanista quanto narrativo: Come usare al meglio l’Internetdelle Cose è quindi una conseguenza di questo suo approccio, oltre che una sua consacrazione come IoT Storyteller per le imprese italiane.
Da dove nasce il libro?
Nasce dalla volontà di raccontare le storie delle aziende per cui ho lavorato. Per dire due cose importanti ed interconnesse. La prima è che in Italia l’Internet delle Cose è realtà e si fa. La seconda è che rimane una necessità di stimolare il settore, creare cultura, allo scopo di attrarvi sempre più investimenti.
Gli investimenti in IoT sembrerebbero fuori dalla portata della maggior parte delle aziende. È vero?
Sì e no. È vero infatti che l’ingresso in contesti così sofisticati richiede un commitment importante in termini di risorse – sia di tempo che di denaro. È altrettanto vero, però, che (A) i sensori costano sempre di meno e (B) la connettività è anch’essa sempre più conveniente.
Non solo. Il costo per accedere a IoT è un costo “graduale”che dipende non solo dall’ampiezza del progetto, ma anche dalla fase in cui si opera. Si parte infatti tipicamente da un POC (proof of concept) che implica un impegno ridotto ed intra-aziendale. Di qui si accede ad una fase PILOTA, con un test su scala ridotta (ad esempio su un piccolo numero di punti vendita test). Infine, si accede al momento dello SCALING, cioè ad una fase in cui il test viene esteso: questo è di solito lo step in cui gli investimenti sono più importanti.
E non dimentichiamoci l’opportunità imperdibile degli sgravi fiscali in essere. In Italia, nel 2017, l’IoT beneficia di un super-ammortamento al 250%: non solo investire è conveniente, quindi, ma investire ora lo è ancora di più.
Quali sono, allora, i maggiori ostacoli a portare l’IoT nelle imprese italiane?
Il primo è culturale. IoT viene infatti spesso confuso con il concetto di gestione-in-remoto. Il sapere in tempo reale che su di un ponte c’è un problema – una crepa, per esempio – pur non essendo in loco.
Invece la IoT è molto di più, e serve non solo ad evidenziare un problema. Nell’esempio del ponte, la IoT va molto oltre: è infatti anche comunicazione diretta ai tecnici che il ponte necessita di riparazione, oltre che comunicazione di avviso agli utenti per non utilizzare l’infrastruttura a causa del pericolo incombente.
C’è poi una tematica legata alla sicurezza, alla cyber-security.
In un’intervista all’inizio del 2017 Andrea Zapparoli Manzoni ha parlato di cyber-security e Industria 4.0. Quali sono le implicazioni, per la IoT?
Il problema c’è. Va affrontato. IoT, infatti, significa occuparsi dell’oggetto in sé, ma anche del software, della connettività, delle app e di tutto quanto interessa lo user finale. La tematica di sicurezza è quindi su molteplici livelli, che devono tutti essere affrontati nel dettaglio per garantire una sicurezza totale su ognuno di essi singolarmente – e quindi nella loro globalità di sistema.
Questo la rende giocoforza una tematica onerosa, per i fornitori.
Qual è l’aspetto dell’IoT che viene sottovalutato più spesso, in azienda?
L’aspetto più conosciuto in fatto di IoT è quello dell’efficienza di costi. Quello, cioè, che risponde alla domanda: quanto si può risparmiare attraverso la IoT? Di conseguenza, un aspetto sottovalutato è quello delle opportunità incrementali da cogliere.
Facciamo un esempio del vantaggio competitivo che IoT può offrire. Pre-allertare un cliente, avvisando che tra 30 giorni il suo macchinario potrebbe avere un problema: un buon motivo per proporgli un servizio “premium” a pagamento (nuova fonte di ricavo, oltre al prodotto) o per creare esperienze davvero sorprendenti, fonte di forte vantaggio competitivo.
E quali sono i principali benefici per gli utilizzatori finali?
Ci sono degli esempi illuminanti, nel settore medicale, con app specifiche che aiutano in maniera attiva a trattare tempestivamente patologie specifiche (ad esempio, l’autismo). Nel capitolo “Ciondolo intelligente diventa infermiere” (Come usare al meglio l’Internet delle Cose, capitolo 6, pp. 93-107) ho raccolto alcune idee che vengono dalla mia esperienza in questi ambiti.
E poi i messaggi della mucca Carlotta al suo veterinario, con cui si apre il libro: un modo divertente di introdurre all’efficacia di IoT per il mondo dell’industria e del B2B (Come usare al meglio l’Internet delle Cose, capitolo 1: “Mucca ordina al telefono le pastiglie per la tosse”, pp. 1-10)
Ma è il B2C il campo di applicazione più vicino alle nostre esperienze. Mi vengono in mente due case studies sui mercati del beauty & healthcare: la cura proattiva della pelle attraverso l’uv patch ideato da L’Oreal, oppure l’idea dello skin analyzer di DIOR.
Basterebbe, comunque, pensare all’enorme mole di dati che la IoT può portare alla ricerca scientifica – ed al suo progresso – per capire quali e quanti benefici ne possano venire per tutti noi.