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Journal metodologia 15 Novembre 2018

Quello che i big-data non sanno di te. E non capiranno mai

Writen by admin@xchannel

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Il fatto che i big-data, cioè la capacità di estrapolare, analizzare e mettere in relazione un’enorme mole di dati eterogenei per scoprire legami tra fenomeni diversi, siano un’opportunità imprescindibile per leggere i comportamenti delle persone e dei consumatori nella loro portata fattuale – questo è incontestabile e fuori discussione.

Il punto infatti non è questo. Il punto è che oggi siamo così focalizzati sulla (e fiduciosi nella) conoscenza legata alle scienze naturali, alla tecnologia, all’ingegneria, alla matematica, all’astrazione dei big data, che ogni approccio alternativo per interpretare sia la realtà che gli individui come consumatori sembra essere obsoleto.

Al contrario, questi metodi procurano gran danno quando applicati in via esclusiva alle cose degli uomini così come agli affari. Distruggono un modo di approcciare il mondo che è nostro come esseri umani; smettiamo cioè di vedere numeri e modelli matematici come una rappresentazione possibile del mondo e iniziamo a vederli come la verità – anzi come l’unica verità.

Ma quando le persone entrano nell’equazione, le cose iniziano a farsi non-lineari.

Un esempio. Mentre leggi questo paragrafo dalla sedia dell’ufficio hai un’idea realistica quanto immediata del rumore che farebbe la tua penna, cadendo all’improvviso dal tavolo sul pavimento. Ti basta guardare negli occhi della tua collega preferita per sapere che c’è qualcosa che non va, oggi. Devi solo sfiorare la tazza, per capire che il tuo caffè americano è ancora troppo caldo per berlo. Se guardi fuori dalla finestra, puoi dire in un battere di ciglia se c’è aria di tempesta o se la giornata sarà serena.

Sono un sacco di cose e sono molto precise: sono difficili da elaborare rapidamente anche solo in parte per la più potente delle macchine. Anzi, sono impossibili da decifrare per chi non abbia un briciolo di esperienza umana. Eppure, sono proprio quell’apparato di conoscenze date per scontate che ci permette di interpretare il mondo come esseri viventi, dandogli un senso. Sono esattamente quelle cose che i ricercatori dell’intelligenza artificiale provano a iniettare negli algoritmi matematici, per farli progredire. Ma non ci riescono mai.

Certo, questo tipo di dati, che sono proprio l’opposto dei big-data, sono quasi sempre considerati come insufficienti a interpretare alcunché, perché mancano di rigore logico-matematico. Ciò è in parte vero, quanto è però vero che noi stessi come individui e come consumatori facciamo le nostre scelte proprio a partire da questo apparato del tutto umano.

Come possiamo interpretarci in quanto persone o, che è lo stesso, come facciamo a capire la nostra audience?

C’è un armamentario interpretativo fatto giustappunto di scienze umane e di discipline accademiche; rodate da millenni come nel caso della storia e della filosofia, oppure più recenti come la semiotica e l’antropologia. Sono lì e sono pronte all’uso, adatte cioè a integrare i grandi numeri e a scavare tra le motivazioni qualitative profonde sottese ai comportamenti più banali – ma anche più socioculturalmente radicati – dei singoli consumatori.

Per questo le scienze umane e le discipline accademiche sono utili tanto al manager che vuole esercitare la sua leadership con carisma, quanto al founder che vuole aprire un nuovo mercato, quanto infine all’uomo di marketing che vuole capire i suoi consumatori – per conquistarli con una comprensione profonda delle motivazioni che li portato a comprare.

I​ big-data ​forniscono infatti un’idea ​orizzontale ​del mercato, dicendo molto poco di un vasto numero di soggetti. Le discipline umanistiche, d’altra parte, restituiscono un’idea ​verticale​ di un gruppo circoscritto di soggetti: scavano nell’immaginario delle persone, per capire quali sono il ​contesto​, la ​storia​ e le ​emozioni ​sottese ai comportamenti di consumo.

Perché allora non utilizzare la scienza giusta per l’ambito giusto, in un approccio sinergico?

Si può fare. Vale a dire che si può fare marketing strategico servendosi simultaneamente dei (a) big-datacome base fondativa, allo scopo di produrre un’analisi quantitativa incontestabile; si possono integrare i dati (b) con la ricerca semiotica, ad esempio per calibrare al meglio il mix di comunicazione; si può inoltre (c)approcciare il target con l’antropologia, per comprenderne l’immaginario socio-culturale profondo [Figura (1)].

XChannel - Big Data e strategia multidisciplinare

In una prospettiva multidisciplinare di questo tipo, i metodi che si usano entrano in gioco solo nel loro ambito di competenza, convivendo per ottenere i risultati migliori. Servono a fare marketing e comunicazione in maniera efficace e innovativa, per rispondere con efficienza ai bisogni dei consumatori.

Non è importante, quindi, quanti big data si raccolgono, quanti segmenti di mercato si costruiscono, quanti questionari si compilano; se non c’è – anche – una prospettiva sui comportamenti umani coinvolti, per il manager e per il marketer è tutto perfettamente inutile.

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